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I 10 comandamenti alla luce della Scienza dello Spirito

Aggiornamento: 12 nov 2020


Oggi, nell’insieme di queste considerazioni deve inserirsi un chiarimento dell’essenza e del significato dei dieci comandamenti di Mosè, perché in seguito potrà servirci. Di qui a non molto dovremo trattare infatti del significato profondo di concetti come quelli di peccato originale, di redenzione e simili, e vedremo che proprio alla luce delle nostre più recenti acquisizioni, anche scientifiche, questi concetti riacquisteranno il loro significato proprio. È dunque tempo di investigare più da vicino l’essenza di fondo di questo documento straordinario, che ci giunge dai primordi della storia israelitica e ci si presenta come una delle principali pietre di fondazione del tempio che è stato edificato quasi a costituire il vestibolo del cristianesimo.

Oggi, in verità, la maggior parte delle persone considera questi dieci comandamenti come fossero una serie di normative sostanzialmente analoghe alle leggi emanate da qualunque Stato moderno. Si darà certamente atto che le leggi contenute nei dieci comandamenti sono di più vasta portata, di carattere più universale, e che valgono indipendentemente dai luoghi e dai tempi. Verranno sì considerate, dunque, come leggi più universali, ma pur sempre con l’idea che non debbano avere in fondo altro effetto né altro fine che quelli delle norme stabilite da qualche legislazione attuale. Questo significa, però, misconoscere l’autentico ganglio vitale dei dieci comandamenti. E che ciò sia avvenuto lo testimonia per l’appunto il fatto che tutte le traduzioni accessibili all’umanità dei nostri giorni hanno recepito meccanicamente un’interpretazione affatto superficiale del contenuto dei dieci comandamenti, assolutamente inadeguata a coglierne lo spirito. Se invece entriamo nello spirito dei dieci comandamenti, vedremo come si inseriscano perfettamente, con il loro significato, nel contesto delle considerazioni che abbiamo or ora cominciato a sviluppare, e il fatto che proprio in questo contesto ci occupiamo dei dieci comandamenti non potrà essere assolutamente scambiato per una digressione fuori tema.

Innanzi tutto ci sia lecito, a mo’ di introduzione, fare un tentativo di rendere i dieci comandamenti nella nostra lingua con un grado per lo meno sufficiente di approssimazione; solo dopo entreremo nel vivo dell’argomento.

  • Primo comandamento. Io sono il Divino eterno che senti in te. Io ti ho condotto fuori dal paese di Egitto, dove non potevi ubbidire a Me che sono in te. D’ora innanzi non porre altri dèi sopra di Me. Non riconoscere come dèi superiori ciò che ti offre un’immagine di qualcosa che splenda in alto nel Cielo, o che agisca dalla Terra, o fra Cielo e Terra. Non adorare nulla di tutto ciò che sta al di sotto del Divino che è in te. Poiché Io sono l’Eterno che è in te, che agisce entro il corpo, e perciò agisce sulle generazioni avvenire. Io sono un Divino che seguita ad agire. Se non mi riconosci in te, Io mi ritrarrò come tuo Divino da entro i figli e i nipoti e i pronipoti, e il loro corpo diverrà un deserto. Se mi riconosci in te, seguiterò a vivere come Tu fino alla millesima generazione, e i corpi del tuo popolo prospereranno.

  • Secondo comandamento. Non parlare in modo sbagliato di Me che sono in te, poiché ogni sbaglio circa l’io che è in te corromperà il tuo corpo.

  • Terzo comandamento. Separa i giorni di lavoro e i giorni di festa, affinché la tua esistenza divenga immagine della Mia esistenza. Poiché quei che vive in te come Io ha formato mondo in sei giorni, e ha vissuto in sé il settimo giorno. Il tuo fare, dunque, e il fare di tuo figlio, e di tua figlia, e dei tuoi servi, e del tuo bestiame, e di chiunque altro ti si trovi accanto, sia dedicato per sei giorni soltanto alle cose esteriori; ma nel settimo giorno il tuo sguardo cerchi Me in te.

  • Quarto comandamento. Seguita ad agire in conformità con tuo padre e tua madre, perché rimanga in tuo possesso la proprietà che essi si sono acquistati mediante la forza che Io ho formato in loro.

  • Quinto comandamento. Non uccidere.

  • Sesto comandamento. Non commettere adulterio.

  • Settimo comandamento. Non rubare.

  • Ottavo comandamento. Non sminuire il valore del tuo prossimo dicendo il falso di lui.

  • Nono comandamento. Non guardare con invidia a ciò che il tuo prossimo possiede come proprietà.

  • Decimo comandamento. Non guardare con invidia alla moglie del tuo prossimo, né ai servitori e agli altri esseri grazie ai quali egli trova di che vivere.

Ora chiediamoci: che cosa ci mostrano in primo luogo questi dieci comandamenti? Come vedremo, nel loro insieme, e dunque non solo nella prima parte ma anche nella seconda, dove in apparenza può sembrare di non trovarvelo, essi ci mostrano che al popolo ebraico, per bocca di Mose, è stato detto che proprio in questo popolo albergherà d’ora innanzi la stessa potenza che si è annunciata a Mosè nel roveto ardente con le parole: «Io sono l’io sono!»* — «Ehjeh asher ehjeh!» —, con le parole che ne hanno rivelato il nome. Ci viene mostrato che, nell’evoluzione della nostra Terra, gli altri popoli non sono stati in grado di riconoscere quell’«Io sono», vero fondamento della quarta parte costitutiva dell’entità umana, con la stessa intensità, con la stessa chiarezza, con cui doveva riconoscerlo il popolo ebraico. Di quel Dio, che ha versato una goccia del proprio essere nell’uomo, cosicché il quarto elemento costitutivo dell’entità umana è divenuto il portatore di questa goccia, il portatore dell’io, di quel Dio il popolo ebraico, il suo popolo, ha acquistato coscienza per la prima volta attraverso Mosè.


Queste cose, per la sensibilità di oggi, rimangono astratte. Oggi, quando si parla dell’io e di ciò che ha relazione con l’io, non si va oltre le parole. Al tempo in cui venne annunciato al popolo ebraico, inizialmente nella forma dell’antico Dio Jahvè, questo io era sentito come l’irrompere di una forza che entra nell’uomo e modifica l’intera compagine del suo corpo astrale, del suo corpo eterico e del suo corpo fisico. E al popolo ebraico bisognava dire: altre sono state le tue condizioni di vita e di salute, quando ancora l’io non viveva nella tua anima come cosa conosciuta; in precedenza, le condizioni di malattia e di salute di tutta la tua vita erano diverse da come si presentano adesso. Si trattava, perciò, di dire a questo popolo a quali nuove condizioni avrebbe avuto accesso, posto che, nel parlare di dèi, non si limitasse a guardare in alto, verso il Cielo, né in basso, sulla Terra, ma guardasse invece dentro la propria anima. Il guardare secondo verità dentro la propria anima procura una vita integra, fin nell’ambito delle condizioni di salute.

Detto in altri termini: se l’io arriverà ad essere compenetrato dall’essenza dei dieci comandamenti, avverrà fra le altre cose che tu non potrai più morire nel fiore degli anni, ma nei tre corpi, astrale eterico e fisico, potrà affluire, attraverso l’io rettamente compreso, qualcosa che renderà completo il numero dei tuoi anni, qualcosa che ti farà vivere in salute sino all’estrema vecchiaia.

Nel primo comandamento si dice fondamentalmente che d’ora in avanti l’uomo deve poter rendersi conto che, oltre tutto quanto è spiritualmente raffigurabile per immagini, può esservi anche un impulso irraffìgurabile per immagini, un impulso che confina, in questo punto che è l’io, con il soprasensibile. «Senti fortemente l’io che è in te, e senti come ti compenetri e ti intessa, in questo io, un Divino che è al di sopra di tutto ciò che puoi rappresentare con un’immagine; troverai allora in questo tuo sentire una forza salutifera, che renderà sani il tuo corpo fìsico, il tuo corpo eterico e il tuo corpo astrale!» Il popolo ebraico doveva essere il destinatario di un forte impulso dell’io, che dà salute. Se questo io è debitamente riconosciuto, ne deriva che il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fìsico vengono ben formati, e questo genera una potente forza vitale e una potente forza salutifera, che a partire da ciascun individuo si trasmettono al popolo intero. Giacché nella durata di un popolo si contavano mille generazioni, la parola che il Dio Jahvè pronunciò fu questa: disse che, improntato rettamente dall’io, l’uomo stesso sarebbe divenuto una fonte irradiante di salute, cosicché tutto il popolo, testualmente «fino alla millesima generazione», sarebbe stato un popolo sano. Ma se l’io invece non è debitamente compreso, il corpo avvizzisce, diviene infermo e malato. Se il padre non immette debitamente nella propria anima l’essere dell’io, il suo corpo diviene infermo e malato, l’io a poco a poco si ritrae; il figlio diviene a sua volta anche più infermo, il nipote ancora di più, fino a che rimane soltanto un involucro dal quale il Dio Jahvè si è ritirato. Ciò che impedisce all’impulso dell’io di affermarsi provoca l’inaridimento del corpo, che gradatamente si estende fino alla quarta parte costitutiva.

Qui dunque, lo vediamo, ci si riferisce a qualcosa non di puramente astratto, ma di vivente nella sua efficacia, a qualcosa che giunge ad esercitare la sua azione sulla salute stessa del popolo. Il processo esteriore della salute è ricondotto a questo elemento spirituale, che viene annunciato per gradi all’umanità. La stessa cosa viene ribadita in particolare nel secondo comandamento, dove si dice esplicitamente: non farti rappresentazioni sbagliate del mio nome, di quel che vive in te come io; poiché una corretta rappresentazione ti colmerà di salute e di forza vitale, e ti salverà, mentre una rappresentazione sbagliata farà del tuo corpo un deserto! - Ogni membro del popolo mosaico viene quindi espressa- mente richiamato all’obbligo di far proprio, tutte le volte che il nome di Dio viene pronunciato, questo monito: che io riconosca il nome di ciò che ha preso dimora dentro di me, e lo riconosca per come vive in me, perché questo è fonte di guarigione.


«Non parlare in modo sbagliato di Me che sono in te, poiché ogni sbaglio circa l’io che è in te corromperà il tuo corpo.»

Ed ecco, subito dopo, il richiamo esplicito e perentorio del terzo comandamento: se l’uomo è un io che agisce e che crea, s’egli è realmente un microcosmo, allora deve imitare, nella propria attività creativa, precisamente quel modello che il Dio Jahvè ha stabilito creando il mondo in sei giorni e riposando il settimo. È questo ciò che viene espressamente dettato nel terzo comandamento: Tu, uomo, se sei un vero io, devi essere anche un’immagine fedele del tuo Dio altissimo, e agire nelle tue opere come il tuo Dio! — E la richiesta, dunque, di farsi sempre più simili al Dio che nel roveto ardente si è rivelato a Mosè.


«Separa i giorni di lavoro e i giorni di festa, affinché la tua esistenza divenga immagine della Mia esistenza. Poiché quel che vive in te come Io ha formato il mondo in sei giorni, e ha vissuto in sé il settimo giorno. Il tuo fare, dunque, e il fare di tuo figlio, e di tua figlia, e dei tuoi servi, e del tuo bestiame, e di chiunque altro ti si trovi accanto, sia dedicato per sei giorni soltanto alle cose esteriori; ma nel settimo giorno il tuo sguardo cerchi Me in te.»


I dieci comandamenti, ora, si addentrano sempre più nei particolari. Ma permane comunque sullo sfondo l’idea della forza incessante che agisce come Jahvè o Jehova. L’uomo è chiamato a volgersi, nel quarto comandamento, dai rapporti con il soprasensibile alla sfera sensibile esteriore. Si pone l’accento su una cosa molto importante in questo quarto comandamento, che va compresa. Nel momento in cui l’uomo, quale io autocosciente, entra nell’esistenza, questo ingresso nell’esistenza comporta ch’egli debba servirsi di mezzi esteriori per dare seguito all’esistenza stessa. Egli sviluppa quel che definiamo come proprietà individuale, come possesso del singolo. Se risaliamo all’epoca dell’antico Egitto, nella grande massa del popolo non troviamo ancora questa forma di proprietà individuale. Troviamo che, anche in fatto di pro prietà, la decisione spetta sempre ai sacerdoti-sapienti. Adesso però che ciascuno deve sviluppare un io individuale subentra la necessità, per ciascuno appunto, di intervenire nella sfera esteriore, di avere intorno a sé qualcosa di proprio, per esprimere questo io nell’ambito del mondo esterno. Ecco perciò il richiamo del quarto comandamento: colui che fa agire in sé l’io individuale acquisisce delle proprietà, ma queste proprietà rimangono legate alla forza dell’io, che continua a vivere nel popolo ebraico e deve propagarsi dal padre al figlio e al nipote; e le proprietà che sono state del padre non rimarrebbero ancorate alla salda forza dell’io se il figlio, a sua volta, non portasse avanti l’opera del padre, ancorandosi alla forza di lui. È detto perciò: rafforza in te l’io, così che perduri e che, con i mezzi ereditati dal padre, il figlio possa insieme ricevere i mezzi per affrontare, nella vita esteriore, l’ambiente esteriore.


In quest’epoca dunque il conservatorismo dello spirito di proprietà diventa una consapevole acquisizione del popolo di Mosè. Anche nelle leggi che seguono, alla base c’è sempre e comunque la coscienza che dietro tutto ciò che avviene nel mondo vi sono forze occulte. Mentre oggi domina una concezione assolutamente esteriore e astratta del diritto ereditario, quanti allora intendevano rettamente il quarto comandamento erano coscienti del fatto che vi sono forze spirituali le quali si propagano, congiuntamente alla proprietà, di generazione in generazione, seguitando a vivere da una generazione all’altra, e accrescendo la forza dell’io, cosicché alla forza dell’io che è propria di una individualità affluisce qualcosa che è il portato della forza dell’io propria del padre. Non può esistere maniera più grottesca di quella corrente per tradurre il quarto comandamento; infatti, il suo significato è questo: si sviluppi in te la salda forza dell’io, la quale vive anche oltre di te, e ciò si trasmetta al figlio, affinché la forza dell’io che gli è propria si incrementi di qualcosa che possa continuare ad agire in lui quale proprietà dei suoi antenati.


E anche le leggi che seguono poggiano tutte su questo fondamento, vale a dire: la forza dell’io che è nell’uomo viene accresciuta dal giusto uso dell’impulso dell’io, mentre invece viene distrutta dal suo uso sbagliato. Il quinto comandamento dice qualcosa che può essere realmente compreso nel suo vero significato solo a partire dalla scienza occulta. Tutto ciò che ha un legame con l’uccidere, con l’annientamento della vita altrui, indebolisce la forza autocosciente dell’io che è nell’uomo. Si possono accrescere a questo modo le forze della magia nera nell'uomo; ma solo eludendo la forza dell’io se ne accrescono così le forze astrali. Ogni uccidere annienta quanto c’è di divino nell’uomo. Questa legge perciò non allude semplicemente a qualcosa di astratto, ma al fatto che, ove l’uomo incrementi la vita, la faccia prosperare, non l’annienti, affluisce in lui, ovvero nell’impulso dell’io che è in lui, della forza occulta. Ciò viene additato come un ideale per l’accrescimento della forza individuale dell’io, e la stessa esigenza è posta nel sesto e nel settimo comandamento, in rapporto però ad ambiti un po’ più circoscritti.


Con il matrimonio, la forza dell’io ottiene un suo centro. Chi spezza il vincolo matrimoniale viene dunque indebolito in ciò che deve affluire alla forza dell’io. Allo stesso modo, indebolisce la propria forza dell’io chi vuole prendere qualcosa dalla forza dell’io altrui, entrando in possesso di beni sottratti con l’estorsione, il furto e via dicendo. Anche in questo caso, l’idea guida di fondo è sempre che l’io non debba indebolirsi. E infine, negli ultimi tre comandamenti, si arriva a mettere in evidenza come l’uomo possa indebolire la forza dell’io con un orientamento sbagliato dei propri desideri. La vita dei desideri ha una grande importanza per la forza dell’io. L’amore accresce tale forza, l’invidia e l’odio la inaridiscono. Dunque, se l’uomo odia il suo prossimo, se ne sminuisce il valore dicendo di lui cose false, indebolisce con ciò la forza dell’io, impoverisce tutto ciò che gli sta intorno quanto a salute e forza vitale. Ed è lo stesso quando si ha invidia della proprietà altrui. Il solo desiderio dei beni del prossimo già indebolisce la forza dell’io. Ed è così anche quando, come dice il decimo comandamento, l’uomo guarda con invidia al modo in cui l’altro cerca di che vivere, anziché tendere all’amore dell’altro e dilatare con ciò la sua anima, lasciando germogliare la forza dell’io. Solo a condizione di cogliere in tutto questo la forza peculiare del Dio Jahvè, e di intuire la specificità del suo rivelarsi a Mosè, possiamo capire che cosa debba riversarsi adesso nel popolo, quale particolare coscienza, e renderci conto di come, sostanzialmente e dappertutto, quelle che vengono date non siano leggi astratte, ma prescrizioni benefiche, prescrizioni salutari, nel senso più lato, per il corpo, l’anima e lo spirito. Chi non considera astrattamente questi comandamenti, ma li sente come cosa viva, agisce per il bene e il progresso della vita, sotto ogni aspetto.


Rudolf Steiner

O.O. 107 - Antropologia Scientifico-Spirituale - Volume I

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